Posso abdicare alla "razza" maschile?

D'accordo che una delle mie massime preferite è la famosa «Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo» che, peraltro nulla ha a che fare con Voltaire se non quella di comparire in una sua biografia scritta da Stephen G. Tallentyre, pseudonimo di Evelyn Beatrice Hall (sarà un caso che cotanta frase sia stata concepita dalla mente di una donna?), e che secondo l'art.21 della Costituzione del nostro sgangherato paese tutti hanno diritto di esprimere la propria opinione, ma ogni tanto mi chiedo se più della quantità non sia meglio favorire la qualità dei pensieri espressi.

Mi riferisco al “meraviglioso” articolo di Massimo Fini sullAntefatto che già dal titolo lascia – o dovrebbe lasciare – alquanto sgomenti: “Donne, guaio senza soluzione”.
Credevo fosse difficile - se non impossibile - riuscire a scrivere qualcosa che potesse scandalizzarmi, vista la miserrima qualità dell'informazione nostrana, ma questo profluvio di maschilismo, misoginia, luoghi comuni e stupidità è riuscito a farmi indignare. Anche se mi indigna di più sapere che molte di quelle donne che lanciano i loro strali contro le misoginie di Berlusconi in questo caso non diranno niente. Perché? Perché Fini scrive sul giornale di Travaglio, quindi scrive “dal lato buono della forza”; che poi dicano che sia un giornale “il cui unico padrone è il lettore”, oltre ad essere una gran bella barzelletta mi fa dubitare, ma su questo ci torno in seguito.

Mi chiedo se Fini conosca Ciudad Juarez, una città messicana al confine con gli Stati Uniti ribattezzata “la città che uccide le donne”: potete leggerne qui [http://senorbabylon.blogspot.com/2009/03/bienvenidos-en-el-infierno.html nel primissimo articolo di questo blog] oppure guardare Bordertown, che racconta esattamente questa storia.
Io credo che di questa non proprio paradisiaca cittadina il nostro non ne abbia neanche mai sentito parlare così, per caso, altrimenti non so come spiegarmi una frase del tipo: «al primo singhiozzo bisognerebbe estrarre la pistola». Mi irrita più di quanto si possa immaginare una frase del genere, perché siamo qui quotidianamente a leggere e denunciare di stupri, di femminicidi, di violenze di genere e poi permettiamo che si possa scrivere questa istigazione all'omicidio su un giornale a tiratura (quasi) nazionale? Mi chiedo come Travaglio possa lasciarsi scappare un'occasione del genere: visto che nei suoi articoli si erge al triplice ruolo di accusa, giuria e giudice – con tanto di sentenza
finale che è sempre per la carcerazione – per chiunque, ora che si trova in casa – pardon, in redazione – uno sul quale farci una bella prima pagina non dice nulla?
Eppure è strano: ma in alcuni casi i giornalisti intendono la loro libertà come la libertà di sottacere qualche notizia (ogni riferimento a Di Pietro, Travaglio&Santoro, Grillo e compagnia denunciante è puramente voluto!) o come libertà di sparare le prime idiozie che gli vengono in mente, come nel caso in oggetto.

Se non ricordo male – ma vado a memoria, per cui potrei sbagliarmi – nel periodo di lancio del giornale di Travaglio si puntò molto sul fatto che, non avendo “editori puri”, cioè non avendo un signore che avesse voglia di rimetterci soldi nel loro progetto editoriale, questo foglio avrebbe avuto come unico editore “il lettore”. Dietro alla poetica di una frase del genere, col senno di poi, si capisce perché nessuno abbia voluto rimetterci di tasca propria per pubblicare questi “125 milioni di cazzate”, per citare una vecchia trasmissione Rai di Celentano. Evidentemente sapevano già a cosa andavano incontro. Ma visto che io non lo leggo (anche perché credo ci sia qualcosa di più interessante che conoscere la fedina penale di ogni singolo cittadino italiano...) e non lo finanzio non mi interessa l'eventualità che qualcuno possa rimetterci un po' di palanche. Mi interessa invece sapere cosa ne pensa “l'editore” di un articolo del genere. Perché il caro popolo di sinistra – sapete no? Quella strana massa di gente che va al concerto del 1° maggio a cantare “Bella Ciao” e che combatte tutti i giorni perché non si ritorni al fascismo – ha forse dimenticato che non c'è antifascismo senza antisessismo, a meno che anche il popolo di sinistra non abbia accettato di buon grado la concezione materialistica della donna (che poi declina in pubblicità sessiste e nel velinismo).
Mi chiedo più che altro come possano le donne e le ragazze che vedo tutti i giorni leggere il suddetto quotidiano accettare un articolo del genere. Passi il fatto che l'italiano medio ha bisogno della dose quotidiana di sangue umano per campare: «la ferocia è sempre stato il sollazzo del popolo» come dice Ugo Tognazzi in “Nell'anno del signore”, e questa sorta di peep-show giustizialista è il nuovo sollazzo del popolo-(e)lettore, ma tutte quelle donne, quelle ragazze che chiedono la testa del premier ad ogni misoginia e per questo sono pronte a scendere in piazza dove sono adesso?

Le donne sono una razza nemica” è l'incipit del pezzo. Ohibò, qui mi stupisco ancor di più: io credevo che le “razze” - per chi ci crede - fossero di derivazione geografica o, al massimo, storica: la razza caucasica, la razza latina, la razza ariana. Erano queste, per me, le razze. Non sapevo che il genere fosse la razza. A meno che l'uso del termine non sia congeniale alla visione di Fini sul concetto di superiorità/inferiorità del maschio e della femmina (concezione decisamente moderna della realtà...) mi viene in mente una cosa: se io devo appartenere alla “razza” maschile a cui appartiene anche cotanto giornalista posso abdicare? Posso diventare “apolide” anche per quanto riguarda la “razza”? Se fosse così, se il termine fosse stato volutamente utilizzato per evidenziare una presunta “superiorità di razza” del genere maschile, la cosa puzzerebbe alquanto di fasci-nazismo, cioè esattamente quella stessa aria che il popolo di sinistra – sì, anche quello che legge “Il Fatto Quotidiano” - vuole combattere. Ma non sarà che questa lotta è solo “a parole”? No, prima che qualcuno travisi le mie parole non sto invocando un ritorno alla lotta armata, ma mi chiedo se davvero a tutti venga la voglia di vivere in una società diversa da questa (migliore o peggiore poi dipende dai punti di vista): una società in cui la domenica puoi andare allo stadio o guardare la partita alla tv, in cui puoi scegliere quale giornale leggere, in cui puoi passare intere giornate tra gli oltre 1000 canali della televisione, in cui hai il tuo bel diritto di voto da esercitare in comode rate senza che in realtà tu abbia scelto assolutamente niente di quel che ti viene messo davanti è davvero una società da combattere, da modificare?

A proposito di scelta: come dicevamo prima il quotidiano di Travaglio è un quotidiano il cui editore è il lettore. Quindi – stando ai promo – doveva essere il lettore a dettare “la linea”, come si dice in gergo. Qui chiedo l'aiuto dei lettori de “Il Fatto” (povero Enzo Biagi, spero non gli abbiano detto che il titolo è un omaggio a lui!!): voi venite chiamati prima che il giornale vada in stampa per sapere se quel che pubblicate – essendo voi gli editori – vi aggrada? E qui torno sul “main event” di qualche giorno fa, cioè Raiperunanotte, quando era stato chiesto l'obolo per la messa in onda: perché io spettatore dovrei pagare qualcosa solo perché me lo dicono Santoro o Travaglio (o chi per loro)? Solo per dargli il diritto di occupare poltrone che già per conto loro sono profumatamente ricompensate? Una loro dipartita – anche solo momentanea – dal Potere (perché anche la loro è una forma di Potere e, quindi, di Regime) «non sarebbe tuttavia una tragedia o una catastrofe irreparabile», come ebbe a scrivere Santoro in occasione dei capricci di Travaglio in versione prima-donna. Anche perché, come è scritto chiaramente anche nella appena citata missiva, a nessuno dei due mancherebbero le possibilità “altre” per continuare a fare il loro lavoro (basti pensare solo al successo del blog e dei libri di Travaglio). Come dice il detto tutti sono necessari – sì, anche Travaglio, Santoro e Fini – ma nessuno è indispensabile. In particolare se sprecano quella preziosa conquista del genere umano che è la libertà di espressione e di parola imbrattando gli spazi pubblici, sia televisivi che a mezzo stampa.

Ho l'impressione che tanti di quel popolo che si definisce “di sinistra” - di quella speciale sinistra che lo è “a giorni alterni” e che ragiona solo in termini di berlusconismo – non si renda conto della gravità di un articolo come quello di Fini perché si parla di donne e non di “categorie a rischio”. Di cosa parlo? Di quel che hanno provato a fare sul blog Femminismo a Sud, sostituendo un po' di parole. Per vedere l'effetto che fa. Già: che effetto fa?

In chiusura un piccolo inciso: gli 883 si sono "estinti" da un po', così come le idee portate avanti nell'articolo di e da Fini. Ma forse chi vive ancora nel Medioevo a certe "anticaglie" ci è affezionato.

  • Cosa possiamo fare:
a parte evitare di acquistare il suddetto giornale - almeno in via momentanea, come forma di protesta - si può fare un'operazione di mail-bombing verso "Il Fatto" [http://www.facebook.com/event.php?eid=109507255743163&ref=mf] perché se sono i lettori ad essere gli editori - almeno sugli abbonamenti - hanno pur sempre il sacrosanto diritto di dissentire no? Come diceva il buon Che Guevara:
«O siamo capaci di sconfiggere le idee contrarie con la discussione, o dobbiamo lasciarle esprimere. Non è possibile sconfiggere le idee con la forza, perché questo blocca il libero sviluppo dell'intelligenza.»
Già, il "Che": uno a cui Travaglio darebbe l'ergastolo.