I veri eroi sono i disertori!

Kabul (Afghanistan) - 17 civili uccisi, di cui 10 medici indiani, un documentarista francese ed un italiano. È questa la conta dell'ennesimo attacco taleban a Kabul. Un «attacco combinato» - per usare il gergo degli analisti - a due alberghi ed un centro commerciale, al cui nono piano, però, era presente un albergo. Uno di questi, il Park Residence Guesthouse, era la base degli uomini dell'Aise, il vecchio Sismi. Ed è proprio tra di loro che si enumera la vittima italiana: Pietro Antonio Colazzo, 47 anni, leccese (di Galatina), a Kabul da due anni e numero 2 nella cellula dei servizi presenti in loco.
La storiografia ufficiale lo elencherà alla voce «eroe», se sia vero o se sia solo un modo per edulcorare la pillola e far credere che la guerra sia una cosa bella. Quella fatta dalle spie ancora di più. Dicono sia un eroe perché, da più alto in grado, ha salvato la vita a quattro dei suoi uomini ed è morto crivellato di colpi e con la pistola in mano. Una rappresentazione anche alquanto romantica di quell'eroe “senza macchia e senza paura” con il quale i media descrivono il militare italiano all'estero.
Ma non è che, semplicemente, ha fatto il suo dovere? In tutti i film di guerra viene ripetuto che chi ricopre il ruolo di capo, deve tutelare i suoi uomini, che è esattamente quel che ha fatto Colazzo.

Se vogliamo, poi, anche l'uso del termine «eroe» ha in Italia un'accezione tutta particolare, per la quale non so se chi viene investito di tale nomina debba esserne grato o dolersene, visto che in questo paese in cui tutto gira al contrario vengono definiti con quello stesso epiteto anche i mafiosi.
«Colazzo è una delle tante vittime del terrorismo islamico». Come avrete potuto appurare in questi giorni è già partita la litania della retorica che vuole un non meglio precisato “terrorismo islamico” come la parte brutta, sporca e cattiva dell'umanità, e noi, fieri paladini della pace fatta con le bombe intelligenti, a fare la parte del paladino indomito. No, le 17 vittime di oggi sono da aggiungere all'ormai lungo, lunghissimo elenco di vittime dell'imperialismo americano, che ha trascinato il codazzo di paesi asserviti in una guerra inutile per la democrazia che per la popolazione afghana ma utilissima per i mercati mondiali delle armi e dell'oppio, ed anche per tutte quelle società – grandi o piccole – che si occupano della ricostruzione in Afghanistan, indotto annesso.

Funerali con le bandiere sulle bare, famiglie distrutte, pagine e pagine sui giornali per un paio di giorni, qualche medaglia “al valor militare (postumo)”. È questo il prezzo per la vita di un figlio d'Italia. O meglio: è questo il prezzo che l'apparato statale italiano dà alla vita dei suoi figli. Deve tenerci molto, a queste vite, l'Italia. Sono «servitori dello Stato», di quello stesso Stato che volta le spalle alle mogli dei militari caduti od ai militari stessi, quando questi si rendono conto di aver lavorato con materiale con cui non dovevano lavorare, come i militari che hanno lavorato in giro per il mondo con l'uranio impoverito. Vittime due volte: di una guerra non certo voluta da loro e vittime di chi li ha spediti in guerra senza le dovute precauzioni. Ma tanto lo sanno tutti che i generali, quelli che davvero decidono le sorti di un conflitto, sono quelli che stanno con il sedere ben riparato su comode poltrone a migliaia e migliaia di chilometri dagli scenari caldi del mondo, pronti a mandare un altro po' di carne da mettere sul fuoco bellico. Tanto a loro che gliene frega, mica è la loro quella carne!

No, quelli che permettono tutto questo, quelle donne e quegli uomini che si fanno ammazzare perché «obbediscono agli ordini» non sono degli “eroi”. I veri eroi sono coloro che dicono «No! La tua guerra te la combatti da solo!». «Sono felice mentre leggo queste cose di essere in prigione, scontando la mia sesta condanna consecutiva per aver rifiutato di arruolarmi nell'esercito dell'occupazione, per non essere un soldato, un piccolo strumento della pesante e brutale macchina militare», sono le parole di Uri Yakobi, obiettore di coscienza ebreo. Lo diceva anche Boris Vian: i veri eroi sono i disertori!

Il Disertore.

In piena facoltà
egregio presidente
le scrivo la presente
che spero leggerà.

La cartolina qui
mi dice terra terra
di andare a far la guerra
quest'altro lunedì

Ma io non sono qui
egregio presidente
per ammazzar la gente
più o meno come me

Io non ce l'ho con lei
sia detto per inciso
ma sento che ho deciso
e che diserterò.

Ho avuto solo guai
da quando sono nato
i figli che ho allevato
han pianto insieme a me.

Mia mamma e mio papà
ormai son sotto terra
e a loro della guerra
non gliene fregherà.

Quand'ero in prigionia
qualcuno mi ha rubato
mia moglie e il mio passato
la mia migliore età.

Domani mi alzerò
e chiuderò la porta
sulla stagione morta
e mi incamminerò.

Vivrò di carità
sulle strade di Spagna
di Francia e di Bretagna
e a tutti griderò.

Di non partire più
e di non obbedire
per andare a morire
per non importa chi.

Per cui se servirà
del sangue ad ogni costo
andate a dare il vostro
se vi divertirà.

E dica pure ai suoi
se vengono a cercarmi
che possono spararmi
io armi non ne ho.

[Boris Vian, 1954]