Ma tu quante mamme hai?


Molto spesso ho criticato la scuola, accusandola di essere diventata mera fucina di giovani la cui istruzione si limita solo a una manciata di nozioni apprese dai libri, sacrificando la funzione pedagogica e di arricchimento culturale degli studenti sull'altare di logiche mercatiste tali da costruire profili di studenti buoni per la manovalanza, ma non per altro. Per cui, quando da quella stessa scuola viene qualcosa di buono, non può che mettermi di buon umore.

Per capire di cosa sto parlando andiamo a Torino, dove il Comune ha deciso di patrocinare – gratuitamente (l'unica spesa sarebbe eventualmente quella di pagare le copie da distribuire) – un manuale scritto da Maria Tina Scarano, assistente sociale e Giuliana Beppato, psicologa e dipendente della Asl di Milano e di Laura Monicelli che ne ha curato i disegni. Gruppo di lavoro tutto al femminile, e forse i motivi sono facilmente intuibili.
Perché il manuale servirà – o almeno dovrebbe servire, questo sta all'intelligenza delle persone – per eliminare uno degli stereotipi più stupidi e retrogradi dal quale la nostra società “evoluta e democratica” ha ancora molte difficoltà a staccarsi: dover spiegare la non a-normalità delle coppie non eterosessuali.


Tramite la storia di Tommi, si tenterà di rispondere a domande come:«Chi è la tua mamma? (risposta: lo sono tutt' e due)» oppure: «Qual'è la tua mamma vera? (r: chiedetelo a loro, sono due mamme che vivono insieme)», e poi la mia preferita (almeno tra le quattro presenti sull'articolo de La Stampa – sezione Torino Nord-Ovest – di mercoledì 17 febbraio dal quale riprendo la notizia): «I miei genitori dicono che di mamme ce n'è una sola: perché Sara ne ha due?» La cui risposta secondo me oltre che alla domanda in sé risponde anche all'ignoranza imperante che un po' tutti abbiamo su questo tema: «Forse tua mamma non conosce le mamme di Sara. Potrebbe invitarle a casa e chiederlo a loro».

Le chiamano famiglie “omogenitoriali”, termine che a me personalmente non piace poi granché – con un po' di fantasia si potrebbe trovare anche qualche termine migliore – ma non mi piace neanche il tipo di linguaggio usato dai giornali, quando parlano di famiglie “gay” o “lesbiche”, perché queste altro non sono che etichette, un modo come un altro per creare stereotipi (nell'accezione psicologica del termine).
A sollevare la necessità di un manuale di questo tipo, un opuscolo a fumetti, uno degli strumenti più diretti e comprensibili che spesso si usano per “aprire” la visuale di una società chiusa come la nostra su tematiche “sensibili”, sono state maestre e mastri, che non hanno certo una risposta pronta e preconfezionata per una domanda comunque nuova, su un tipo di famiglia che ancora stenta a trovare radicamento, in particolare in Italia, e il Gruppo scuola dell'associazione “Famiglie Arcobaleno”, che questo tipo di problema lo vivono quotidianamente sulla propria pelle.

Non so se con un semplice “manuale” si possa risolvere un problema tanto grande quanto l'accettazione di famiglie considerate “socialmente non comuni”, ma già l'idea di poter aprire un dibattito in merito, in un paese che ha smesso di interrogarsi sulle questioni importanti (anche per la mancanza di intellettuali veri alla Pasolini e non creati nel circuito gossiparo-televisivo) sarebbe già un primo, fondamentale passo per cercare di modernizzare la nostra società.

Perché a questo punto, nel tipo di mondo in cui ci troviamo tutti ad abitare, l'idea della famiglia “alla Mulino Bianco”, quella cioè tipicamente etero con bambini di sesso diverso, l'idea quindi della famiglia “tradizionale”, quella a cui difesa si schierano tutti i politici è ormai un'idea vecchia, superata. Perché se è vero, come è vero, che la famiglia si basa sull'amore questo se ne infischia tranquillamente delle “convenzioni sociali” per cui un “maschietto” deve innamorarsi sempre – e solo – di una “femminuccia” (e viceversa), oltrepassando così i confini di genere (arrivando così a quel carattere “universalizzante” che questo tipo di sentimento porta in sé) che invece costituiscono il blocco mentale e culturale del quale una società dal passato patriarcale e dall'ancora forte cultura machista è ancora schiava.
Un vecchio detto dice che il genitore non è chi ti fa, ma chi ti cresce. Per cui la figura genitoriale non si limita esclusivamente all'atto di concepimento ed agli eventuali 9 mesi di gravidanza. L'essere genitore è assunzione di responsabilità, è impegno quotidiano, è rispetto e – appunto – amore. Quello stesso amore che non danno quelle famiglie “normali” che gettano i propri figli appena nati nei cassonetti (quando basterebbe destinarli a più felice destino lasciandoli in ospedale...). E questo tipo di impegno, così come l'Amore – come dicevo prima – non è “schizzinoso”, non si fa problemi di alcun tipo, in particolare problemi di genere.

Nel nostro Paese c'è poi un altro dettaglio, non certo di poco conto, che bisogna sempre considerare quando si provano battaglie per la civilizzazione di un paese che civile lo è solo sulla carta: l'ingerenza ecclesiastica (che anche nel caso del vademecum si è fatta sentire) sulla maggior parte della classe politica del paese (mi chiedo quando avremo direttamente il “Partito Vaticano”, composto esclusivamente da ecclesiastici. Non credo manchi molto, comunque...). E quindi le “solite” e retrive idee sull'omosessualità come malattia (e il fatto che un cantante che adduca tale tesi si sia classificato secondo nella passata edizione del festival sanremese dovrebbe dar da pensare), sulla follia dell'adozione per coppie omosessuali, su cui mi aspetto fulmini e saette degne del miglior Zeus da parte di chi, non riuscendo a reprimere la propria sessualità dietro ad un abito talare, violenta i bambini senza che questo passi come scandalo in Italia (o al massimo se ne parla per qualche giorno, poi di nuovo via a prendersela con Berlusconi e la sua cricca; quella è una moda che non va mai fuori-moda). Io sono sempre stato a favore di questo tipo di adozione, per semplice convinzione personale, perché non è scritto da nessuna parte – come spiega anche Chiara Lalli, filosofa e bioeticista (che sicuramente è fonte più attendibile dello scrivente) – che famiglie omogenitoriali siano strane, non naturali od immorali. È solo una convenzione che fa comodo a chi non interessa portare questo paese nella sua versione “2.0”, per usare un termine noto – e caro – agli internauti. Anzi: secondo l'ultima edizione (2005, stando alle mie fonti) del “Lesbian and gay parenting”, un documento dell'American Psychological Association, dalle ricerche esistenti si evince chiaramente che non c'è discrasia di sviluppo psichico tra bambini che crescono con genitori dell stesso sesso o di sesso diverso. Una differenza, a dir la verità, ci sarebbe: i figli di coppie dello stesso sesso crescono più aperti e tolleranti nei confronti delle “diversità”, se poi si chiudano su posizioni più conservatrici o meno sta anche nell'ambiente in cui svilupperanno la propria individualità (ma questo è un altro discorso...).

È per tutto questo che vedo con favore un'operazione come quella del “manuale di istruzioni”, che secondo me dovrebbe essere adottato in tutte le scuole dell'obbligo italiane, perché se c'è un posto che deve tendere all'educazione – anche di questo tipo – della popolazione, questa è sicuramente la scuola.

Immaginate come sarebbe bello, un giorno, vedere un tema sulla famiglia di una classe elementare il cui incipit sia qualcosa del tipo: «I miei genitori sono separati, la mamma vive con un altro uomo e il papà anche…», senza che questo susciti il minimo imbarazzo. Ma con la deriva fascistoide della nostra società, questo diventa sempre più un'utopia che una realtà.

Se vogliamo arrivare a quell'"altro mondo" migliore di questo di cui tanti di noi parlano dobbiamo iniziare a cambiare il sistema fin qui imperante, iniziando dalla distruzione degli stereotipi che hanno caratterizzato la nostra società. Perché bisogna partire da un piccolo passo per avere una grande rivoluzione.