Diario da Gaza - di Stefano Savona

«Sto cercando di trovare le parole, ho bisogno di parole, parole convincenti, parole penetranti, che ti fanno un buco in testa e che poi lasciano frammenti in ogni dove schizzi di miseria chiazze di paura brandelli di sogni e resti di cultura, parole come raffiche di mitra in un mercato o come missili sparati al terzo piano di un palazzo, che facciano male cazzo, parole tanto forti da zittire tutto il mondo occidentale, solo per un attimo, soltanto per provare ad ascoltare, l’impotenza, il rancore…parole a fare male, picchiate sulla faccia come calci di fucile e pugni e sputi e schiaffi, parole…»
Queste sono le parole con cui inizia "Flowers of Filastin" degli Al Mukawama, gruppo napoletano nato come progetto alternativo di Luca "'o Zulù" Persico, frontman della 99 Posse che più di una volta ho citato su questo blog. Parole, come quelle che non riesco a trovare adesso, dopo aver visto il documentario che vi ripropongo qui sotto, su quel che significa fare quotidianamente i conti con la guerra, le bombe, i missili e i morti ammazzati.
Se il video-post precedente (Paolo Barnard: "capire il torto". I 100 anni della pulizia etnica in Palestina) era il tentativo di capire come, e soprattutto perché, oggi, in Palestina si continua a morire e a farsi ammazzare lottando per una terra che ufficialmente il popolo palestinese non ha, il documentario di Stefano Savona serve - o per lo meno io spero che serva - a capire come vive un palestinese. Take a look...


Qui le altre parti
parte 2° [http://www.youtube.com/watch?v=yIEdS70-PrQ]
parte 3° [http://www.youtube.com/watch?v=h_LoRexPTLc]
parte 4° [http://www.youtube.com/watch?v=zCYdN9efXug]
parte 5° [http://www.youtube.com/watch?v=c5bnwdaOcks]
parte 6° [http://www.youtube.com/watch?v=SO4gso1o8Tg]
«Laken ha hia arty huna Yajibu an auda, ila arty, ila Filastin
Aud min ajli hauiaty mithla jady, qabla an yatrukù Filastin
Audu hurru kay aktaru, an akuna usfuran au akuna shajarah(tun)
Kamà raghiba jady»
(Ma eccola là, la mia terra, voglio ritornare nella mia terra, in Palestina.tornare per una identità, come mio nonno, prima di lasciare la Palestina.Tornare, libera di scegliere se essere un uccello, come sempre avrei voluto, oppure un albero, come il nonno aveva sempre desiderato.) Mona Zaarour, 12 anni, campo profughi di Chatila.