Vuoti di memoria...

Ci sono storie che nascono nelle ombre.
Ci sono storie che nascono nelle ombre e così continuano la loro vita. Finché qualcuno non decide di puntargli sopra qualche riflettore in più.

E' questo il caso di “Carte False. L'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Quindici anni senza verità”, libro che ho finito di leggere poche ore fa e che può aiutare – secondo me – a far conoscere una storia che noi giovani, noi che siamo cresciuti dalla fine degli anni '80 in poi, non sempre conosciamo.

La storia è quella della giornalista 32enne del Tg3 Ilaria Alpi e dell'operatore triestino di Videoest Miran Hrovatin, che ha accompagnato Ilaria nel suo ultimo viaggio in Somalia sulle tracce del traffico di rifiuti tossici che il nostro paese – per presunti accordi tra l'allora premier Bettino Craxi e Siad Barre, padre-padrone della Somalia degli anni '90 – faceva con le fazioni di Ali Mahdi e Aidid (che in quel periodo si combattevano per prendere il posto dello stesso Barre) in cambio di armi.
E' difficile per me a volte considerare che giornalisti di quel calibro – perché Ilaria aveva la “stoffa” del giornalista – abbiano calcato gli stessi suoli di gente come Fede e Minzolini, che non certo possono definirsi “giornalisti”.
Comunque, la storia di Ilaria Alpi è una storia relativamente nota. O meglio, sono noti i misteri che da 15 anni a questa parte, da quel 20 marzo del 1994 aleggiano intorno a questa storia. Ed ogni mistero porta con sé un interrogativo. Come quello dei 3 taccuini e delle 5 videocassette sparite dal materiale che Ilaria e Miran avevano con sé in Somalia e che in Italia non sono mai arrivate. Alcune di quelle cassette contenevano un'intervista ad Abdullahi Mussa Bogor, meglio noto come “il signore di Bosaaso” e che – come assicura egli stesso alla Commissione d'inchiesta – ha una durata di circa 2 ore e 30 minuti. In Italia di quella lunga intervista ne sono arrivati solo 12 minuti! Cosa si diceva nel resto dell'intervista?
O come tutto il mistero – ma qui credo se ne potrebbe scrivere un'ampissima bibliografia – relativo alla figura di Giancarlo Marocchino, un faccendiere italiano che dagli anni '80 abitava in Somalia e a cui tutti gli italiani – giornalisti compresi – si rivolgevano. Perché Marocchino, oltre ad essere un faccendiere è stato anche accusato di essere tra gli ispiratori del traffico d'armi e di rifiuti su cui stava indagando Ilaria. Marocchino è stato il primo a giungere sul luogo in cui Ilaria e Miran sono stati assassinati con una vera e propria esecuzione (colpo unico, alla nuca, da breve distanza...). Quel che forse molti hanno dimenticato – o comunque non sapevano – è che a soli 50 metri c'era l'ambasciata italiana! Ok, i nostri militari stavano smobilitando, ma c'erano ancora alcuni uomini ed un paio di colonnelli (Fulvio Vezzalini e Luca Rajola Pescarini). Perché nessuno è uscito dopo aver sentito i colpi di pistola? Come facevano a sapere che quei colpi non erano indirizzati verso l'ambasciata? L'unica risposta che sono riuscito a trovare plausibile (considerando anche che i “vertici” dettero l'ordine di non intervenire...)è che nell'ambasciata qualcuno sapeva. Qualcuno che stava in alto nella scala gerarchica dei nostri uomini in Somalia. Magari quegli stessi colonnelli che, a circa un anno di distanza, furono promossi? Perché una cosa è certa: l'input di uccidere Ilaria e Miran non è partito dalla Somalia (a meno che non si voglia considerare lo stesso Marocchino come il grande deus ex machina, ma secondo me non è così...). Il comando è partito dal nostro paese. E molti potevano essere i mandanti. Potevano essere i servizi segreti (deviati o non...), potevano essere le imprese coinvolte nel traffico (altrimenti come si spiegherebbe che Giorgio Comerio, proprietario della O.d.m. di cui mi sono occupato nel precedente articolo “Scorie a perdere” e che con Ilaria Alpi nulla sembra avere a che fare, avesse tra le sue carte il certificato di morte di Ilaria?). E venendo alla morte di Ilaria: quando Marocchino arrivò al pickup bianco della Toyota (tra l'altro mai giunta in Italia, visto che quella che ci hanno inviato non è quella di Ilaria, in quanto il dna ritrovato nel sangue sul veicolo non è lo stesso di Luciana Alpi, la mamma di Ilaria che si è sottoposta al testo...) Ilaria era ancora viva, tant'è vero che le usciva ancora il sangue dal naso. Perché non è stato chiamato un medico? E per quale motivo si è preferito portare sia Ilaria che Miran – che invece era morto sul colpo – direttamente al porto di Bosaaso?
E perché quando è stata istituita la prima Commissione d'inchiesta sul caso Carlo Taormina che la presiedeva considerò come unica opzione fattibile quella della “vacanza” dei due giornalisti, morti per un rapimento andato a finire male (quella che oggi chiameremmo “pista islamica”...)? Taormina stava forse coprendo qualcuno? E se sì, chi?


Queste sono alcune delle tante – troppe – domande che vengono in mente quando si ha a che fare, volontariamente od involontariamente, con il “caso Alpi”. Domande senza risposta, come tante in questo paese dei misteri.
Purtroppo neanche il libro “Carte False” riesce a rispondere, semplicemente perché per rispondere a queste domande dovremmo trovare tutte le connessioni. E da 15 anni a questa parte c'è qualcuno che queste connessioni non vuole farle trovare.
Questo libro, però, può comunque far conoscere – tramite alcuni articoli – la storia, il modo d'intendere il giornalismo e, in parte, la personalità di Ilaria e Miran. E può, forse, non far perdere la memoria ad un paese che troppe volte, da Piazza Fontana alle stragi del '92, ha sofferto di immensi vuoti di memoria.