Perché se non lo leggo non esiste

Grozny (Cecenia) - “In una bella mattina di sole alla fine del 2001, quando era appena finito il coprifuoco, a un incrocio nel centro della città di Argun, vicino al mercato che cominciava appena ad animarsi, alcuni soldati stavano in cerchio con i fucili puntati verso il basso. Per terra, ai loro piedi, giacevano tre ragazze nude, di tredici o quattordici anni. Non cercavano neanche di rannicchiarsi o di coprirsi con le mani. Erano vive ma probabilmente inebetite. Erano coperte di sangue, lividi e fango. Appeso a un bastone c'era un cartello che indicava il suolo. Diceva: «È quello che vi aspetta, tutte, troie schifose. Scoperete tutte con noi». Poco a poco intorno a loro si era raccolta una folla, nessuno aveva dubbi su cosa fosse successo. Alcune donne si strappavano il velo e le commesse si toglievano il grembiule per coprire le ragazze, prima di tutto la faccia, per non farle riconoscere. Gli uomini si voltavano dall'altra parte e continuavano per la loro strada.”

[tratto da Cecenia: il disonore russo di Anna Politkovskaja]

Nonostante la frequenza di questi reati, nessun militare è mai stato processato. Anche perché, come dice la legge russa, senza l'esplicito consenso dei superiori un militare non può essere giudicato.
E se consideriamo che spesso quelli che sono veri e propri crimini di guerra (stupri, rapimenti, rapine, omicidi, il tutto contestualizzato in una situazione di conflitto come quella cecena) sono attuati con il placet (se non direttamente con l'ordine) dei generali, si può facilmente intuire quale sarebbe la risposta ad un'eventuale richiesta di processo.

Questo è quel che si vive a Groznyj (Solža-Ġala in ceceno), capitale della Repubblica cecena ed anticamente considerata la più bella città del Caucaso del Nord. Per i suoi abitanti, però, non è semplicemente Groznyj. Griazny Groznyj. È così che la chiamano. Groznyj la Sporca. Perché la chiamano in questo modo?

Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro.

Con il crollo dell'Unione Sovietica nasce il movimento indipendentista ceceno, non riconosciuto dalla neo-nata Russia principalmente per l'importanza strategica che il territorio ceceno aveva in merito a produzione petrolifera e presenza di oleodotti e gasdotti.
Nel 1991 il presidente ceceno Džokhar Dudaev dichiara - nonostante l'apertura di trattative e la possibilità di accordi di pace - l'indipendenza cecena. Accordi – è bene precisarlo - che si rivelano validi solo virtualmente.
Nel 1994 l'allora Presidente russo Boris Eltsin (ricordato più per l'amicizia con la bottiglia che non per il suo operato politico) invia in Cecenia 40.000 soldati: ha inizio la I° guerra cecena.
Per i russi sembra di rivivere l'incubo afghano, e per questo si tenta di porre fine al "pantano ceceno" con l'ennesimo accordo di pace (1997) che porta Aslan Maskhadov - comandante delle forze ribelli - alla Presidenza.
Anche per Maskhadov, però, la vita istituzionale non è facile: una grave crisi economica, la forte presenza dei "signori della guerra" (i veri amministratori del territorio ceceno) e gli attentati di Shamil Basayev ne ridimensionano fortemente la figura.

Il conflitto torna a divampare nel 1999, quando il leader dei guerriglieri - ed eroe nazionale ceceno, autore del sequestro del Teatro Dubrovka (2002) e della Strage di Beslan (2004) - Šamil Basayev allarga il conflitto al vicino Daghestan.
Maskhadov viene ridotto al silenzio, prima negandogli la possibilità di ripresentarsi alle elezioni nel 2003 e poi tramite l'omicidio - da parte dei servizi russi - avvenuto il 9 marzo 2005.
Il nuovo leader ceceno è Halim Sadulayev, che estremizza il governo inserendovi personalità come lo stesso Basayev. Entrambi vengono uccisi dai servizi russi, rispettivamente il 17 giugno ed il 9 luglio del 2006.
Nel frattempo, nel 2003, Hakmad Kadyrov, inizialmente leader dei guerriglieri ed oggi visto come un traditore, diventa Presidente della Repubblica con l'83% dei consensi, anche se i brogli sono particolarmente evidenti. Anche Kadyrov viene ucciso, nel 2004, mediante lo scoppio di una mina posta nella tribuna d'onore durante una parata per la commemorazione della vittoria sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale.
Oggi il presidente ceceno - ufficialmente Primo Ministro reggente - è Ramzan Kadyrov.

Ma per cosa è scoppiata la guerra russo-cecena?
Non certo per il petrolio, quello al massimo può servire ai generali come “extra” per arrotondare lo stipendio, così come oggi è da scartare anche la causale oleodotti, ormai trasmigrati verso altri lidi geo-politicamente più remunerativi. Rimarrebbe la carta del terrorismo islamico (che ormai è buona per tutte le stagioni). Se solo in Cecenia ci fosse il terrorismo islamico. O meglio: secondo il circuito mediatico mainstream i ceceni sono tra i leader di un fantomatico “movimento terrorista internazionale islamico”, al pari di Bin Laden e dei suoi uomini. Peccato che dal 2001, da quando cioè il mondo è venuto a conoscienza del terrorismo di questa matrice, non sia stato trovata neanche l'ombra di un ceceno – vivo o morto che sia – tra i terroristi islamici. Chi mastica un po' di geo-politica (o chi, come me, ha letto il meraviglioso libro di Anna Politkovskaja “Cecenia: il disonore russo”) saprà che in realtà l'equiparazione “ceceno=terrorista islamico” è il regalo che gli Stati Uniti hanno fatto al presidente Putin (al tempo dell'amministrazione Bush) per essersi schierati a favore degli americani nella loro politica imperialista. Insomma, la cara vecchia politica del “do ut des” tanto cara ai vecchi democristiani di italica memoria. Così mentre gli americani giocano a “caccia all'alquaedista” i russi possono fare i loro porci comodi in Cecenia, senza che a nessuno venga in mente di interessarsi alla vicenda (qui da noi è dal 2007 che non si hanno più notizie da quelle zone...).

C'è poi un dato, reale ed inquietante, che smentisce categoricamente la possibilità che si tratti di guerra al terrorismo islamico: le brigate russo-cecene. Ora, persino uno mediamente attento e non troppo perspicace capirebbe che se il conflitto è tra russi e ceceni ed esistono gruppi delinquenziali composti da ambedue le fazioni, c'è qualcosa che non torna. Manca il fondamento morale del conflitto. Le brigate altro non sono che gruppi di delinquenti – militari, ex militari o resistenti redenti – che saccheggiano, rapinano, uccidiono e violentano (come abbiamo visto nel caso riportato nel libro della Politkovskaja) che se ne infischiano allegramente delle controversie ideologiche. Quelle le lasciano volentieri ai signori dei piani alti. Ma l'operato di una brigata non si limita alla semplice “delinquenza da ladro di galline”, come potremmo definirla. Perché i gruppi russo-ceceni si occupano anche di garantire la “sicurezza” dei distributori illegali di petrolio o delle parti di oleo- e gasdotti fatti saltare in aria al fine di depredarne l'oro nero; eseguono omicidi su commissione, azioni intimidatorie e si occupano di rivendere tutto ciò che depredano e che scarseggia nei territori (come l'acqua). Insomma, si occupano di tutto ciò di cui da queste parti si occupa la criminalità organizzata nostrana. L'operato di queste brigate, però, non sarebbe possibile senza il beneplacito dei militari, che spesso si trovano nella duplice situazione di essere delinquenti e tutori dell'ordine, controllati e controllori. Non hanno alcun motivo, quindi, per avallare la fine del conflitto. Ed è per questo che simulano spari notturni ai posti di blocco, piazzano bombe che scopriranno in seguito et similia.

Il “milite russo tipo” inviato in Cecenia è un ragazzo di 18-19 anni dalla scarsa cultura – grazie allo sfacelo totale del sistema scolastico iniziato negli anni '90 – cresciuto durante la II guerra cecena. Crescere sotto una guerra vuol dire avere più familiarità con bare e funerali, con bombe ed armamenti vari che non con i giochi, cioè quelle cose di cui hanno familiarità i bambini di (quasi) tutto il mondo. Un ragazzo che per 20 anni cresce in questo modo, senza i mezzi per poter “contestare” gli ordini che gli vengono impartiti, che si trova lontano da casa, impaurito da lavaggio del cervello fattogli prima di partire (e dalla guerra...) diventa una bestia affamata, impaurita, feroce. E senza qualcuno che lo controlli, senza qualcuno che ne regga il guinzaglio, è facilmente trasportabile dalle pulsioni più meschine alle quale vivere un conflitto dall'interno naturalmente ti avvicina.

E diventare una bestia ti fa fare cose atroci. Come quella cosa nota come “fagotto umano”. Cos'é? “prendi una decina di persone, le leghi insieme e poi butti una granata in mezzo”, come ci dice Ottavia Piccolo in “Il sangue e la neve”, che narra storia e lavoro di Anna Politkovskaja, uccisa nel 2006 proprio perché aveva il coraggio di denunciare l'orrore russo perpetrato in Cecenia.

Groznyj però non è solo “la sporca”. È anche una città di spie. E neanche della miglior specie. Una spia “decente”, una da film per intenderci, si farebbe perlomeno pagare per le sue informazioni. Ma spesso queste spie sono comuni cittadini, che denunciano cose puramente false pur di risparmiare alla propria famiglia una zaciscka, una specie di spedizione a metà tra la depredazione delinquenziale e la pulizia etnica perpetrata dai militari ai danni dei cittadini ceceni. È facilmente intuibile che pur di evitare una cosa simile bastano piccole gelosie “da condominio” - o il dover rientrare nelle “quote” di terroristi arrestati – per denunciare il prossimo.
In tutto questo qual'è la posizione di quelli che si ergono ad “esportatori di pace”?


“Assistendo impavidi ed indifferenti a questo massacro senza fine, favoriamo, nel nostro grande vicino dell'Est, la nascita di un'autocrazia postideologica senza fede né legge. Il sonno degli europei, della loro morale e della loro ragione, scava un buco nero nel nostro suolo, avalla una società né comunista né liberale, ma sempre più mostruosa” [André Glucksmann]

Degli Stati Uniti ho già detto, e per quanto riguarda l'Europa, la “nostra” Europa?

Parlando di “casa nostra” bisogna fare una distinzione. Perché siamo di fronte a due tipi di Europa. C'è un Europa “ufficiale”, fatta di istituzioni, governi e potentati vari, che ha detto: “No, grazie. Noi ci giriamo dall'altra parte”. Un'Europa che ha consapevolmente avallato l'omicidio di migliaia di suoi figli a fronte di qualche barile di petrolio o un mucchietto di banconote.

E c'è un'Europa “ufficiosa”, fatta di persone che non lavorano in alcun apparato istituzionale. Ma che a differenza dell'Europa “ufficiale” ha a cuore i problemi di tutti i cittadini europei. Come Antonio Russo, giornalista free-lance ucciso in circostanze misteriose in Georgia nel 2000, dove si trovava per conto di Radio Radicale, testimone di quel che stava avvenendo in Cecenia.

Perché il diritto a “sapere”, il diritto di conoscere in realtà non è un vero e proprio diritto. È principalmente un dovere, un imperativo categorico. In particolare quando si tratta di guerre, violenze, torture. Perché può in qualche modo essere capibile distogliere lo sguardo, girarsi dall'altra parte, ma non è giusto nei confronti di chi quelle guerre, quelle violenze e quelle torture le sperimenta sulla sua pelle.

Guerre dimenticate. Bambini, donne, anziani, uomini dimenticati perché se un evento non compare sui mezzi d'informazione mainstream non esiste. Eppure...
Eppure, al termine dell'articolo a me non sembra di aver parlato di qualcosa che non esiste. E a voi?