Ma cos'è di destra? Cos'è di sinistra?

“Ma cos'è la destra? Cos'è la sinistra?”
Cantava Giorgio Gaber ormai tanti anni fa.

Beh, non so voi come la pensiate, ma secondo me questa domanda (anche se a livello di scrittura sono due le considero come domanda unica) non ha una risposta facile.
Ma partiamo dall'inizio.

L'inizio di questa storia è una di quelle chiacchierate tra una lezione universitaria e l'altra in cui si parla del più e del meno, e per me spesso “il più e il meno” equivalgono a parlare di quel che succede nel mondo.
O meglio: questo post affonda le sue radici ancora più in là, in un'altra domanda, una di quelle che quando le senti magari non ti lasciano granché, ma che poi diventano peggio di un tarlo nel cervello. Ora – piccolo inciso per spiegare la domanda – il mio “bagaglio universitario” è uno zaino un po' modificato, pieno di frasi di canzoni e di quelle spillette che forse 10 anni fa facevano molto “alternativo” e che oggi invece stanno divenendo il massimo del conformismo (almeno in alcuni casi) tra cui una con il simbolo della pace.


La domanda nasceva proprio dalla suddetta spilletta, e più o meno era:

Chi può essere a favore della guerra?
A parte il fatto che per me la risposta è molto semplice, visto che le ditte di produzione delle armi (come la nostra Finmeccanica) ed i signori della guerra sparsi per il mondo sono favorevoli alle guerre, ma più che in questo senso, quel che mi “tormenta” è la valenza che hanno oggi i simboli politici, che siano la succitata spilla con l'effigie pacifista, la svastica, la croce celtica et similia.

Io studio comunicazione e so – ma non ci vuole certo un esperto per capirlo – quanto sia importante il significato intrinseco che c'è dietro a quei simboli. Non conosco, e me ne dolgo, l'humus culturale (passatemi il termine...) della destra, o comunque non lo conosco tanto da poterne scrivere. Però conosco bene quello di sinistra, per il semplice motivo che in quello stesso humus ci sono cresciuto, quindi mi è più familiare e più semplice da analizzare, seppur in maniera “profana”.

Ora c'è questa moda: la manifestazione.
Vuoi esprimere dissenso contro il governo? Vai a Roma a manifestare!
Vuoi dissentire dal dissenso contro il governo? Vai a Roma a manifestare!
Berlusconi non risponde a delle domande – peraltro banali (preferivo quelle de La Padania) - di Repubblica? Vai a Roma a manifestare!
Poi non c'ha ragione Brunetta che in questo paese non lavora mai nessuno!

Scherzi a parte, non so voi, ma a me sta “manifesto-mania” sa di poco, l'unica logica che ci trovo dietro è o fare nuove tessere per questo o quel partito o aumentare le copie vendute di questo o quel giornale, magari fideizzandosi dietro al cartello dell'”io sono un farabutto” (che se te lo dicesse uno in mezzo alla strada minimo lo mandi a quel paese) o chissà quale altra trovata. Insomma: una mera operazione di imperialismo mediatico-capitalista e nulla più (mediatico perché fatto dai giornali, capitalista perché a guadgnarci son sempre i soliti, visto che dopo le manifestazioni non cambia nulla). Prima che qualcuno mi intasi la casella di posta con improperi in cui mi si attribuiscono velleità filo-governative, ci tengo a sottolineare che non ho nulla contro chi manifesta; trovo solo il nostro modo di farlo alquanto sterile. Anche perché, se veramente le manifestazioni riuscissero davvero a cambiare le cose sarebbero già diventate illegali da molto tempo.

Dice che ci è di sinistra è anti-berlusconiano. Forse il “popolo”, quello che una volta si chiamava “proletariato” (cambiano i nomi, ma la gente continua lo stesso a fare la fame...) lo è. Di certo non lo sono i reggenti dei vari partiti. Pensiamoci un attimo: l'80% delle persone si informa tramite la televisione, quindi prendiamo questo come mezzo di informazione da analizzare: voi in questi ultimi anni li avete mai sentiti i leaders parlare di modelli di società da costruire? Di progetti per il futuro del paese? Io per ora li sento solo dire che Berlusconi si deve dimettere perché va con le escort, perché era iscritto a Propaganda2 (insieme ad una gran mole di gente, in maniera bipartisan) o perché è arrivato al potere grazie alla mafia. Questa è la cronaca politica degli ultimi 15 anni.

Mai avrei creduto di scriverlo, ma devo ammetterlo: Silvio Berlusconi ha perfettamente ragione. Ha ragione quando dice che l'italiano cosiddetto medio lo invidia e vuole essere come lui, perché quell'italiano medio è quello stesso italiano che evade le tasse, passa avanti nelle file o parcheggia nei posti riservati ai disabili! E il premier – peraltro eletto con elezione giudicata valida – non è il creatore di questo modello. Ne è solo il prodotto finale.

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Ma torniamo al filone principale del post, altrimenti – come si diceva a scuola – rischiamo di uscire fuori tema.
Ha ancora un senso, oggi, definirsi “di destra” o “di sinistra”? Io me lo sto chiedendo da un po', e la risposta ancora non sono riuscito a trovarla.
Una volta – quando c'era ancora il Muro di Berlino – aveva un senso ben preciso. Una volta eri “rosso” per questo e quest'altro motivo, ed eri “nero” per quello e quell'altro motivo, diametralmente opposti tra loro.

Ma oggi? Oggi siamo ancora in una situazione così antitetica? Beh, guardando all'Italia sembrerebbe di sì. Ma ho l'impressione che la situazione nostrana sia alquanto particolare. Perché il nostro è sempre stato un paese strano, particolare. Un paese in cui si tenta esclusivamente di salvaguardare il proprio micro orticello di potere – dall'una e dall'altra parte, ed esplicitare in questa sede i nomi credo sia superfluo – senza che ci si evolva. Mentre intorno tutto scorre.

Dice che la sinistra – o quel che si definisce “sinistra” - sia in crisi, non solo in Italia, ma anche in Europa. E nessuno si chiede perché? Io la risposta, una delle tante, l'ho trovata in un'interessante articolo comparso su Repubblica qualche giorno fa. Perché mentre la sinistra si illudeva di detenere lo strapotere su tutto, la destra creava la sua versione “2.0”.

Una nuova generazione di politici – i politici “2.0”, appunto – cresciuti sì nel mondo pre-1989, ma che da quel mondo, da quell'impostazione per certi versi “mentale” hanno saputo distaccarsi. In Italia essere a favore, o comunque non contrari ai diritti degli omosessuali (prendo uno tra gli aspetti più clamorosi) ti fa etichettare immediatamente come appartenente alla “sinistra”, anche se David Cameron e Guido Westerwelle non mi sembrano proprio appartenere a partiti “filo-comunisti”. O no? In Italia uno eccentrico come il capo del partito liberal-democratico tedesco sarebbe etichettato immediatamente come un militante di questo o quel partito dell'estrema sinistra, invece in Germania è “addirittura” considerato uomo di destra. Perché questa definizione? Perché Guido Westerwelle ha dichiarato pubblicamente la sua omosessualità, quindi in Italia andrebbe automaticamente incasellato nell'universo sinistra, come se un omosessuale non possa essere di destra (certo, se guardo al machismo con cui portiamo avanti la vita pubblica nel nostro paese qualche dubbio sul perché non possa esserlo mi viene...).
Ma questo è solo un dettaglio.

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Prendete un quotidiano, oppure guardate un tg. Considerate quanto spazio viene dato ai nostri “problemi di corte”, cioè a tutto ciò che ruota intorno alla vita di Berlusconi. Addirittura nell'ultimo periodo è stato creato un quotidiano apposta per i “sollazzi di corte” da quelli che dovrebbero fare l'antisistema ma che sono solo le valvole di sfogo del sistema medesimo (faccio mia una valutazione di Paolo Barnard, giornalista per certi versi “scomodo” e che proprio perché non accettato né dal sistema né dall'anti-sistema non si vede mai in televisione e neanche sui giornali...). Ora, mi chiedo: è veramente utile? Tutti questi “scandali di corte” che pubblica insieme alla gran parte dei giornali italiani sono veramente utili? Sappiamo che più della metà dei nostri politici o sono collusi con la mafia o comunque non sono quei santi che vogliono far credere. E' cambiato qualcosa dopo averlo saputo?

Prendiamo un altro caso: lo scudo fiscale. Voglio ricordare che questa cosa, che permette agli imbroglioni italici di far rientrare il proprio denaro dietro i confini senza pagare alcunché ed anzi con tanto di tappetino rosso, è passato solo grazie a quella che si chiamerebbe “opposizione” (tra l'altro un paio di parlamentari dell'IdV che tanto fanno gli “anti-berluscones”, e soprattutto personaggi come Franceschini, Bersani e il sempiterno D'Alema). Ok, dice che erano tutti in missione – ma son parlamentari o spie dei servizi segreti? - ma a me, che dubito di tutto e che in questi casi applico la famosa massima andreottiana che a pensar male si fa peccato ma non ci si sbaglia mai, viene da chiedere cosa – o chi – questi signori debbano difendere, visto anche che sono coinvolti alcuni di quei personaggi che tifavano per la scalata alle banche dei “furbetti del quartierino” qualche anno fa.

Leggiamo pagine e pagine su vita morte e miracoli di questo o quell'esponente politico, sappiamo che Berlusconi per i suoi incontri usava il lettone di Putin e che D'Alema si è trovato Tarantini sulla barca senza conoscerlo (anche qui: ti trovi uno che non conosci sulla tua proprietà e non gli chiedi le generalità? A me sembra un po' strano...). Ma non sappiamo nulla sui “potentati” che ci sono dietro all'uno ed all'altro, e non mi riferisco alla criminalità organizzata.
Mi riferisco a quelli che definiscono la nostra quotidianità. Facciamo un paio di esempi “a caso”: Il Corriere della Sera e La Repubblica. Il primo appartiene al gruppo RCS nel quale sono amministratori, tra gli altri, gente come Diego della Valle, Corrado Passera e Jonella Ligresti, sorella del più famoso (e più chiacchierato) Salvatore. Ora, se facessimo gli ingenui ci si potrebbe chiedere dove sia il problema, ma se penso che – esempio – Ligresti è uno dei nuovi proprietari dell'Alitalia non si parla praticamente più nonostante i problemi intorno alla nostra compagnia di bandiera da quel che so sono sempre gli stessi di prima, mi viene da pensare...
Andando a guardare dall'altra parte – tanto per essere obiettivi e raccontare i fatti – sarà solo un caso che la famiglia De Benedetti ha – nel solito giochino delle scatole cinesi di controllate e controllanti – rapporti con Lehman Brothers e Goldman Sachs e che di banche su Repubblica non se ne parli poi così tanto? Chiedo così, tanto perché sono un tipo curioso...

Tante volte non fosse chiaro quel che intendo: prendiamo per ipotesi che Salvatore Ligresti un giorno venga condannato per questo o quest'altro motivo. Secondo voi il Corriere della Sera darà la notizia così come dovrebbe o si limiterà a farne passare solo una parte, magari tralasciando le parti più “dure”? Tornando alla massima andreottiana credo la mia risposta si intuisca...Oppure, altro esempio: mettiamo che un giorno un giornalista di Repubblica abbia sottomano uno scoop che dice – esempio – che una delle banche che controllano il quotidiano foraggi una cellula di Al Quaeda. E' una mia invenzione, ma ragionando per assurdo potrebbe capitare. Secondo voi come sarà data la notizia? Anzi, domanda ancor più importante: sarà data la notizia?

Secondo voi ad un operaio (o alla famosa casalinga di Voghera) interessa di più sapere che il premier ha una vita spericolata oppure che non riesce più a pagare le rate del mutuo della sua banca perché i soliti 4-5 “signorotti dell'alta economia” hanno speculato ed hanno creato una bolla? Non so, magari la stessa bolla immobiliare con cui negli Stati Uniti un sacco di famiglie si sono trovate con le pezze al culo, come si suol dire. Certo, gli americani quelli che hanno “giocato” - come Bernard Madoff – li hanno processati e messi in carcere, in Italia quelli che potrebbero farlo o li fanno ministri o li considerano “grandi finanzieri” e salvatori della Patria! Tutte le volte che aumentano i mutui perché le banche hanno giocato in borsa (e perso un sacco di soldi...) non credo ci sia tanta differenza se il mutuo aumenta ad un elettore di destra o ad uno di sinistra. O forse mi sbaglio?
Ed è per questo motivo, perché i “grandi potentati” che influiscono sulla nostra quotidianità e di cui nessuno si occupa – ed i motivi credo siano ormai chiari – che secondo me oggi non ha più senso parlare di “destra” o “sinistra”, o per lo meno non nell'ottica con cui ne abbiamo sempre parlato. Perché questi “potentati” (banche, gruppi di pressione etc etc...) ti colpiscono indipendentemente dal partito che voti alle elezioni.

Facciamo un ultimo esempio: prendiamo uno di quelli che si definiscono “no-global” (fino a qualche tempo fa rientravo anch'io sotto questa etichetta, oggi mi ritrovo di più nel “newglobalismo”...). Ha senso, in un mondo globalizzato, fare gli anti-globalizzazione? Mi spiego meglio: dal mio dizionario (Zingarelli 2007) leggo:
“Globalizzazione: [2] Tendenza di fenomeni economici, culturali e di costume ad assumere una dimensione mondiale, superando i confini nazionali o regionali.”

Ora: uno che è “anti” deve vedere negativamente questo fenomeno, giusto?
Quindi, estremizzando il discorso, uno che è anti-globalizzazione dovrebbe innanzitutto non conoscere le lingue – in particolare l'imperialista inglese – ed anzi parlare e conoscere esclusivamente il suo dialetto; dovrebbe acquistare esclusivamente cose che provengono dalla sua terra, vivere nel suo quartiere e non andarsene in giro per il mondo, giusto? Perché se sei contrario ad un'idea la combatti, non la sostieni. O sbaglio?

In un mondo globalizzato però non è possibile comportarsi in questo modo, per tanti motivi: perchè i tuoi vestiti sono spesso prodotti in China o in qualche altro pvs anche da quelle ditte che fanno del Made in Italì una bandiera; perché spesso gli “anti-” adorano mangiare “straniero” (secondo me contraddizione in termini...) e tante altre cose di questo tipo. Anche in questo caso, però, molto spesso si attuano politiche solo sul piano sloganistico (come con il famoso simbolo della pace, riprodotto nella spilletta di cui parlavo all'inizio) ma non si attuano sul piano pratico. Se uno è a favore della pace – e quindi contrario alla guerra “militare” - dovrebbe boicottare tutte quelle aziende che finanziano le guerre (e ce ne sono tantissime, basta fare una ricerca in rete...), anche se poi non disdegnano una sana scazzottata con i “nemici”. Io qui ci trovo una distanza abissale tra il dire ed il fare. Perché se dici di essere per la pace, e lo fai vedere ostentando spillette, bandiere e bandierine lo sei ovunque. Lo sei nei confronti della guerra combattuta manu militari e lo sei – soprattutto – nei rapporti personali, cercando di evitare la “guerra” anche con chi ti sta accanto. Altrimenti i tuoi rimangono solo slogan.

Perché il vero problema di oggi è proprio questo: abbiamo abdicato alla politica “vera”, all'interesse per la cosa pubblica “attivo” per seguire un paio di slogan che dovrebbero farci cambiare le cose. Peccato che quelli che ci dicono che possiamo cambiare il mondo sono gli stessi che quel mondo stanno provvedendo a tutelarlo...