Questa manifestazione non s'ha da fare...

C'era una volta la manifestazione per la libertà di stampa del 19 settembre.
Bisogna parlare al passato perché questa manifestazione è stata poi spostata al 3 ottobre a causa – almeno questa è la versione ufficiale – dell'attentato a Kabul che ha visto morire 6 ragazzi italiani. Piccolo inciso prima di procedere: non capisco perché debba esserci cordoglio – giustissimo – per le vittime, cioè per ragazzi – e ragazze, allargo il discorso a tutte le guerre e tutti i paesi – ma non c'è mai nessuno che chiede conto ai capi, come ministri della difesa italiani o ex-presidenti degli States, che se ne stanno comodamente seduti in poltrone di uffici ben lontani dagli scenari di guerra mentre a chilometri e chilometri di distanza la gente muore per i loro giochi geo-politici. Perché diciamo “onore ai caduti” e tutti questi slogan ma mai nessuno va sotto i ministeri a protestare per far ritornare a casa questi ragazzi? Che forse questo “onore” sia un onore “a rate”, cioè se non muoiono non sono “onorati”?

Dopo questo piccolo inciso, veniamo al punto dell'articolo: lo spostamento della manifestazione dal 19/09 al 3/10. Perché? Per quale diamine di motivo – possibilmente serio, cortesemente – questa manifestazione è stata rimandata?

Che io sappia, la manifestazione è posta contro l'imbavagliamento dell'informazione veramente libera. Per cui organizzarla a pochi giorni dall'attentato avrebbe potuto dare ancor più forza, perché si sarebbe potuto considerare anche che con un'informazione veramente libera oggi sapremmo cosa stiamo facendo negli scenari di guerra, come lo stiamo facendo, per che e soprattutto per chi lo stiamo facendo.

Inizio seriamente a pensarla come Paolo Flores d'Arcais ieri su MicroMega, e cioè che in realtà, così come il matrimonio tra Renzo e Lucia nei Promessi Sposi “questa manifestazione non s'ha da fare”. E non solo perché il giornalismo italiano è pieno di servi di Berlusconi.

“Nella Federazione della Stampa convive di tutto, dai giornalisti-giornalisti agli aficionados del killeraggio mediatico contro gli oppositori del regime (o anche i sostenitori del governo che solo accennino alla fronda), passando per tutte le gradazioni del giornalismo d’establishment.”

In questo paese – sto notando nell' ultimo periodo – se sei un “servo berlusconiano” devi essere messo al rogo, se sei un “servo dell'anti-berlusconismo” sei visto come il salvatore di una fantomatica patria che dai tempi dell'unità ancora non abbiamo.

Fino ad ora ho sempre visto “la piazza“ come un luogo di battaglie, da far rinascere come e meglio della maniera degli anni '70. Ma stavolta c'è qualcosa di diverso. Di profondamente diverso.
Perché questa manifestazione sembra più il tentativo di creare un mega happening nella capitale che non il vero tentativo di sbavagliare l'informazione. Perché è una manifestazione sterile. Una manifestazione “only for 24h” perché dal 4 ottobre torneremo già tutti davanti ai nostri televisori, a leggere i soliti giornali che ci diranno che migliaia di persone si sono riversate nelle strade capitoline al grido di “siamo tutti farabutti”. E poi? Ok, la raccolta firme proposta su Repubblica da Cordero,Rodotà e Zagrebelsky è stato un passo in più. Ma poi? Come si continuerà? Queste firme verranno presentate nelle sedi opportune o rimarranno negli archivi del quotidiano?
No, la piazza così non mi piace molto. La piazza “sterile” non la capisco.
Siamo sicuri che non esistano modalità più efficaci e forse più moderne?

A me una di quelle più potenti, visto anche chi abbiamo di fronte, viene in mente pensando a qualche giorno fa, precisamente giovedì sera. Ore 21, Rai1. Vi ricordate?
13% di share di Porta a Porta dove il premier spacciava per sua la consegna delle prime case ai terremotati a L'Aquila, dimentico che quelle case in realtà sono opera della Croce Rossa e della Provincia di Trento. Una volta – quando andavano di moda i c.d. “no-global ” ai quali mi sono sempre sentito vicino – si chiamava boicottaggio. Veniva fatto – e viene fatto tutt'ora – solitamente verso le multinazionali imperialiste, tramite la scelta consapevole di non acquistare i prodotti delle imprese che operano non tenendo conto dei diritti dei lavoratori, di quelli ambientali e via discorrendo. Questo stesso principio, se applicato alla televisione – in particolare a quella commerciale, cioè a quella per cui “più gente tengo davanti al televisore più pubblicità avrò”- potrebbe avere dei risvolti devastanti. Sia positivamente che in maniera negativa. Negativamente – ovviamente – per chi di quella televisione è proprietario, che vedrebbe minori introiti e quindi avrebbe meno soldi per comprare le “voci libere” come El Paìs. E positiva per il resto del paese, che finalmente non dovrebbe fare i conti con cervelli ipnotizzati da tette e culi di questa o quella soubrettina di terzo ordine.

Inizio a pensare che sotto sotto una informazione veramente libera non la voglia nessuno. Né chi dice che il bavaglio lo mette Berlusconi né chi dice che in realtà sono i giornali comunisti ad auto-imbavagliarsi. Principalmente per il motivo che tutti i giornali (comunisti, fascisti, socialisti... Anarchici non saprei, francamente...) vivono di pubblicità, quindi se – esempio – una ditta di cosmetici che fa i propri test sugli animali è anche uno dei miei principali finanziatori, capite bene che io editore andrei contro i miei stessi interessi se pubblicassi un articolo dal titolo “la ditta di cosmetici X uccide 1.000.000 di animali l'anno per i test sul nuovo rossetto”. È capitalisticamente ineccepibile se ci pensate un po'. E quindi, comunque ogni giornale ha dei bavagli – grandi o piccoli che siano – ai quali sottostare. Ovviamente sarei ben felice di essere pubblicamente sbugiardato su questo aspetto, ma inizio a pensarla un po' come Beppe Grillo (di cui non sono certo un fan, basta vedere quel che ho scritto in tempi non sospetti): e cioè che la stampa – o la “casta della carta stampata”- contro un'altra casta – politica od economica che sia – sarà un match che difficilmente vedremo (a meno che non si voglia inserire l'informazione in rete, ma sarebbe un discorso dal quale usciremmo forse tra un paio di glaciazioni tra i “pro” ed i “contro”).

Veniamo poi all'ultimo quesito che mi sono posto in merito alla battaglia per la libertà d'informazione. E qui mi piacerebbe poter rivolgere la domanda agli editori. Perché mi chiedo se le “campagne mediatiche” (sapete “Oggi e domani compra l'Unità”, “Siamo tutti farabutti” e simili...) siano effettivamente inerenti alla lotta o servano solo per fideizzare il lettore?

Sono curioso di sapere come andrà a finire questa volta (la curiosità sentendo chi mi sta attorno è una mia dote innata, ma anche questo è un altro discorso...). Non posso che mettermi ad aspettare il 4 e vedere se saremo entrati nell'”Italia 2.0