Petrolchimici omicidi


Gela, Caltanissetta. Sicilia.
Territorio agricolo, come tutte le terre meridionali degli anni dell'immediata ricostruzione. Negli anni '50 tenta il “colpaccio” con il turismo balneare. Ma se sulle tue coste il mare ha color d'inchiostro, che ci sia qualcosa di strano lo capiscono un po' tutti.
Quel che c'è di strano a Gela – che negli anni '70 risultava la città europea con il più alto tasso di natalità annuo – passa sotto le sembianze del “progresso”. Passa sotto il nome di ENI.
Nel 1956 infatti, nella città che è il punto di arrivo della strada europea E45 proveniente dalla Svezia, il cane a sei zampe fondato da Enrico Mattei (la cui morte, tra le tante correnti di pensiero, viene additata proprio all'”affaire-Gela”) scopre il petrolio. Era da Gela, infatti, che Mattei tornava quando il suo aereo venne fatto saltare in aria. Vi era andato per annunciare ai gelesi che quella scoperta avrebbe portato ricchezza. E per qualche anno quella previsione («Richiamate i vostri figli emigranti, ci sarà lavoro per tutti») si rivela veritiera. Nel '62 infatti l'occupazione gelese è quasi al 100%, e questo si deve non solo al Petrolchimico, ma anche a tutto ciò che vi nasceva intorno (l'indotto, come si suol dire...e quindi strade, infrastrutture ed interi quartieri per i dipendenti). Il boom non riguarda solo il lavoro, ma anche l'aspetto demografico: in pochi anni la popolazione passa da 20 mila abitanti agli 80 mila attuali.
Lavorare al Petrolchimico negli anni '50 a Gela era un po' come realizzare un sogno: niente più lavoro massacrante nei campi, niente più levatacce prima dell'alba. Stipendio fisso, lontano dai campi e dai “padroni” che ti frustavano per un nonnulla. Il sogno di Gela e del suo petrolchimico finisce però con l'esplosione in volo del creatore del cane a sei zampe.


Rame, zinco, arsenico, benzene, nickel, cobalto. Più che in un sogno Gela si ritrova ben presto in un incubo. Negli anni '60 non c'era né una cultura né una legislazione che tutelasse l'ambiente. E così oggi la cittadina siciliana va a sommarsi a Taranto, Porto Marghera, Priolo e di Melilli.e molti altri “mostri assassini” che l'industrializzazione feroce in nome del profitto a tutti i costi ci ha portato nel corso degli anni.
È nella terra che dette i natali ad Euclide – il padre della matematica – che nascono bambini con malformazioni (gli ultimi dati a disposizione parlano di 40 casi ogni mille bambini nati) e 641 è il “numero della Bestia”, il numero di morti di cancro a Gela. E purtroppo non si vedono rallentamenti. Se non è una guerra questa poco ci manca. Una guerra senza proiettili, bombe e mine antiuomo. Ma fatta di polveri sottili, amianto ed acidi di varia natura. Tutto perché certe cose, in questo paese, le si vedono. Ma solo di sfuggita.
Nel 1994 una perizia fatta sull'uva bianca recita:

«Uva bianca in grappoli; gli acini e le foglie si presentano ricoperti in gran parte di polvere nerastra… impalpabile, untuosa al tatto, costituita da sostanze di natura carboniosa miste a sostanze di natura siliceo-carbonatica».
Il comune di Gela – fino allo scorso giugno guidato da Rosario Crocetta – si è costituito parte civile nei processi per i casi gravi di inquinamento, creando al contempo un fondo di 300.000 euro per sostentare le famiglie povere dei “caduti da petrolchimico”.
Perché, così come avviene per la “seta della salamandra” - cioè l'amianto – anche per il petrolchimico non sono solo i suoi dipendenti a morire. Muoiono gli operai, muoiono le loro famiglie, muoiono gli abitanti di Gela e di tutte quelle zone in cui quel vento che tanto caratterizza le terre meridionali diventa vento di morte.

Gela, Taranto, Porto Marghera come Beirut, Kabul, il Kurdistan e la Palestina. Zone di guerra. Zone di morte. Perché non serve scatenare guerra contro questo o quel paese e tantomeno abbattere un paio di palazzi con dei missili anticarro per essere definiti “criminali”. Basta un petrolchimico...