Gli scrittori americani e la ragazza perbene.


Incredibile a dirsi, ma non riesco a trovare le parole.
Forse perché ho sempre avuto una forma di rispetto molto particolare per i morti. Che è poi il motivo per cui mi viene sempre difficile dover parlare dei miei miti. O forse perché l'incontro con le parole di Fernanda Pivano è stato bizzarro, e quindi dover parlarne mi mette in uno strano senso di soggezione. Chissà perché poi.

Non mi va di riportare la solita biografia presa da questo o quel sito, sia perché da oggi ne saranno pieni i giornali e sia perché tutti possono andare su questo o quel sito e leggersela.

Il mio incontro con i suoi libri è avvenuto in 5° superiore, per l'esame di maturità. Lei e Cesare Pavese sono stati i miei “compagni di maturità”. Insieme a Faber, naturalmente. Eppure, nonostante mi reputassi mediamente intelligente – più o meno quanto i miei compagni di classe – proprio non riuscivo a capire. Non capivo come una donna potesse appassionarsi così tanto all'Antologia di Spoon River, non capivo cosa ci fosse di bello in un libro del genere. E tantomeno ero in grado di capire Faber, che anzi – mi ricorda spesso mio padre quando affrontiamo l'argomento – mi chiedevo come si potesse definire “cantante”.

Le chiavi per entrare in quel mondo le ho avute solo dopo quell'incontro. Quando ho ripreso in mano l'Antologia e nelle cuffie avevo Faber. C'è voluto un po' di tempo, forse perché non avevo la “maturità intellettuale” per comprendere l'alta caratura di personaggi di questo tipo, per capire con chi avessi a che fare.
E se oggi riesco – o almeno credo di riuscire – a ragionare in direzione ostinata e contraria, beh, sicuramente lo devo a quei versi. Versi che, se mi guardo indietro, se guardo la strada che da quei banchi di scuola ho fatto fino ad ora – nonostante siano passati in realtà solo pochi anni – capisco quanto siano stati importanti per arrivare esattamente dove sono adesso.