Una strage annunciata: 11 luglio 1995 - 11 luglio 2009


Srebrenica (Bosnia-Hercegovina) – la “miniera d'argento”, questo il suo nome tradotto in italiano, qualcosa come 14 anni fa conosceva quello che nei libri di storia è considerato come uno dei più gravi massacri in tempo di pace. Iniziamo però con un passo indietro rispetto a quel tragico 1995. Due anni prima, nel 1993 Srebrenica viene posta sotto il controllo ONU dopo un'offensiva dell'esercito serbo, azione che si rese necessaria al fine di tutelare la popolazione civile bosniaca, quasi completamente di religione musulmana, costretta a fuggire dal circostante territorio occupato dall'esercito serbo-bosniaco. In quegli anni i Balcani erano il fronte caldo del mondo e se pensiamo che da quello stesso territorio che all'epoca gli atlanti etichettavano come “Terra degli slavi del sud” (cioè la Jugoslavia) oggi sono stati creati ben 7 stati (considerando anche il Kosovo, nonostante ciò sia un'operazione ancora controversa) è relativamente semplice capire quali furono i motivi del contendere nell'area. 7.800 le vittime “ufficiali”. Le associazioni per gli scomparsi e le famiglie delle vittime sostengono che siano un po' di più. Diciamo 10.000. Di questi – qualunque sia la reale cifra – ad oggi sono stati identificati grazie al test del DNA solo 3215 vittime, mentre altre 4000 circa risultano essere scheletri esumati dalle fosse comuni e di cui non si conosce niente.
Nell'estate del 1995 ormai la guerra stava finendo. Lo sapevano tutti. E la conclusione era chiara: 51% del territorio bosniaco ai croato-musulmani ed il restante 49% ai serbo-bosniaci. Ed andava bene a (più o meno) tutti. Andava bene a Slobodan Milošević, allora presidente della Federazione Jugoslava, ad Alija Izetbegovic, presidente della comunità musulmana, ed a Franjo Tudjman, allora presidente della Croazia. Ed ovviamente andava bene alla “comunità internazionale”. Quella stessa comunità internazionale che – permettetemi il termine non propriamente carino – si fece “infinocchiare” da un branco di genocidi del calibro di Radovan Karadžić, l'allora leader politico serbo-bosniaco, arrestato su un autobus a Belgrado il 21 luglio dello scorso anno, sotto le false generalità di Dragan Dabić, in realtà un militare bosniaco caduto in guerra; o di Ratko Mladić, il generale serbo – ancora in libertà – che guidò il genocidio insieme a Naser Orić e che addirittura entrarono nella città l'11 luglio a bordo dei blindati bianchi dell'ONU. Sissignori, avete letto bene. I “cattivi” disponevano dei carri armati dei “buoni”!

Immaginate cosa voglia dire vivere una situazione del genere e vedere l'arrivo dei blindati ONU. Non dico che si stappassero bottiglie di champagne – visto il livello di povertà della popolazione – ma per lo meno qualcuno inneggiò alla fine del conflitto. E quindi pensate a come ci si possa sentire quando da quegli stessi blindati iniziarono a saltare fuori i “cattivi”. Immaginatelo voi, perché quegli uomini e quelle donne, quei bambini e quegli anziani che vissero questa esperienza se ne accorsero solo troppo tardi.
Nessuna spiegazione è stata data da chi si definisce “comunità internazionale”, da chi dovrebbe non permettere le guerre, da chi – anche oggi – grida allo scandalo quando ci sono bombardamenti in questa o quella parte del mondo, forse dimentico che a quel tempo i bombardamenti li faceva lui (o lei, visto che non mi riferisco a nessuno in particolare...). L'unica cosa che si sa è che già dal 30 maggio del 1995 l'Onu dichiarò che le forze di interposizione dei Caschi Blu in Bosnia dovessero farsi da parte. Decisione – perdonate la franchezza – da incapaci che andava ad aggiungersi alla decisione di inviare 4.000 uomini a fronte della richiesta dell'allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali di almeno 40.000 unità, possibilmente non equipaggiate con l'armamento leggero con cui si presentarono. Come se non bastasse – per la serie “oltre il danno la beffa” verrebbe da dire – i militari olandesi che non impedirono il genocidio (ma che invece furono tra i primi a filarsela a gambe dallo scenario di guerra, rifugiandosi nella base militare di Protocari) sono stati addirittura premiati con medaglie al valore – che ufficialmente sono passate come ricompense per le critiche subite dalla stampa – per aver permesso il genocidio.

Purtroppo non sono – o per lo meno non sono più – un grande conoscitore dei Balcani; mi ricordo che a quel tempo nonostante avessi solo 9 anni quelle immagini che si vedevano nei tg mi colpirono molto, e forse hanno collaborato a quel che sono diventato oggi (ed al tipo di giornalismo che vorrei fare in futuro...). Una cosa però la so: se alla sbarra ci sono finiti via via i vari Milosevic, Karadizic e prima o poi anche gli altri “esecutori materiali”, c'è chi con la stessa correità se la gode nell'Europa (e non solo lì) che esporta la pace.
Spesso mi viene in mente quella frase cantata dal gruppo napoletano della 99 Posse: “...chi tutela il male quando il bene si prepara ad ammazzare...”. Già, chi lo fa?

Per approfondire:
Srebrenica2009. Appunti su un genocidio.
Il massacro di Srebrenica: cronaca di una strage.
Il governo premia con una medaglia i Caschi Blu che a Srebrenica non impedirono il genocidio