Me llamo Rigoberta Menchú y así me nació la conciencia


"C’è a chi tocca dare il proprio sangue e c’è a chi tocca dare le proprie forze; perciò, finché possiamo, diamo la forza”. Queste parole diceva suo padre, Vicente Menchú, diventato leader degli indios, prima di morire nel tragico rogo dell’Ambasciata di Spagna a città del Guatemala, durante una pacifica occupazione per richiamare l’attenzione internazionale sulle arbitrarie espropriazioni delle terre agli indios e sull’oppressione governativa. Era il 31 Gennaio 1980.

Lei è Rigoberta Menchù Tum, 50enne indigena Maya-Quiché figlia di due persone in vista nella sua comunità: Vicente Menchú - appunto - un combattente per la terra e per i diritti dei suoi fratelli indigeni e Juana Tum K’otoja’, un’esperta in assistenza al parto. Sin da piccola apprese dai genitori il rispetto e l’amore per la natura, la sacralità dei luoghi in cui viveva e la vita collettiva delle diverse comunità indigene. Allo stesso tempo però, conosce l'ingiustizia, la discriminazione, il razzismo e lo sfruttamento con cui il popolo guatemalteco fa i conti da tanto, troppo tempo. Ufficialmente – come mi dice Wikipedia – è una pacifista. Secondo me è difficile rispondere alla domanda Chi è Rigoberta Menchù? Perché Rigoberta è una di quelle figure che in Europa, e nell'Occidente “bello, buono e giusto e sotto l'ombrello a stelle e strisce” non esistono più, salvo rare – rarissime – eccezioni. Ho pensato che per la sua particolarità – così come a suo tempo feci per Vandana Shiva – valga la pena conoscere il pensiero ed il lavoro di una signora che nel 1992 vinse il Premio Nobel per la Pace “in riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene."

Non potendo purtroppo intervistarla direttamente ho preso dei pezzi di varie interviste – che potete trovare comodamente su internet – per presentarvi una signora che iniziò a lavorare come bracciante agricola migrante all'età di cinque anni, in condizioni che causarono la morte dei suoi fratelli ed amici e che da adulta si unì a membri della sua famiglia in azioni contro i militari per i loro abusi dei diritti umani. La violenza la costrinse all'esilio nel 1981. La signora Rigoberta Menchù Tum.

"Dobbiamo ritrovare un equilibrio tra Nord e Sud del mondo, perché ciò che si sta consumando in Afghanistan è l’'anticamera di una crisi mondiale". Parola di Nobel.

Se in America Latina c’è stato uno sterminio di massa dei popoli, qui in Europa c’è un azzeramento delle coscienze e le due cose vanno assieme, no? Qui c’è un azzeramento della memoria del nostro rapporto autentico con la terra, con la natura, da molto tempo in occidente. Allora, quali sono gli alleati oggi per portare avanti una lotta per uscire da questo sterminio?
Io credo che più che chiedere cosa potete fare voi per gli indigeni, bisogna chiedersi cosa possiamo fare noi indigeni per voi, cosa possiamo fare per l’umanità, cosa possiamo dare all’umanità, e credo che possiamo darle molto. Per prima cosa, noi indigeni abbiamo sviluppato una cultura multiculturale, multietnica e multilingue, siamo rispettosi delle differenze. I popoli indigeni sono rispettosi delle diversità umane, ma anche delle diversità delle vite, delle molte vite che esistono sul pianeta e credo che diamo un contributo all’istruzione, alla visione del mondo e anche alla coscienza e al compromesso sociale di tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro radici culturali e dalla loro religione. Di modo che possiamo aiutare con immenso piacere chiunque voglia salvare questo pianeta.
Da donna che combatte per i diritti umani e promuove la solidarietà, come ha vissuto la condizione delle donne afghane?
Provo una sincera costernazione per loro, e penso che nei loro confronti si sia usata, in questi anni, una doppia morale. Da una parte ci si sdegnava per la loro schiavitù, dall’altra non si faceva nulla per offrire loro solidarietà. Adesso è necessario che offriamo a queste donne una solidarietà completa, cominciando dal rispetto per la loro cultura.
Ma la miccia che ha fatto scoppiare il conflitto (siamo nel 2001, ndr) è stato l’'attentato alle torri del World Trade Center.
E’ vero. Ma la lotta al terrorismo non si fa con la guerra. Ciò che è accaduto, e che sta ancora accadendo, dopo la tragedia dell’11 settembre, è una grandiosa redistribuzione dei poteri mondiali: questa ricomposizione delle egemonie porterà al controllo delle libertà sui popoli deboli. E’ di questo che ho davvero paura, perché l’ho visto succedere in Sudamerica. Perciò mi auguro che la popolazione mondiale non lasci che si compiano abusi sulla propria libertà.
Quanto è importante il ruolo dei media in questo processo?
E’ fortissimo. C’è moltissima sofferenza nel mondo, dal popolo afghano a quello di Timor Est: quando un’emergenza passa inosservata a causa dell’indifferenza dei media, essa viene come dimenticata. Moltissimi popoli nel mondo sono vittime del silenzio. Dobbiamo fare in modo che la missione di parlare di loro, di riscattarne i valori e la dignità sia un problema di tutti noi.

NO ALLA GUERRA - di Rigoberta Menchù Tum
I caricaturisti e disegnatori di tutto il mondo ci ricordano che l'umile colomba della pace, con le sue candide piume, rappresenta la speranza per una migliore qualità della vita per tutti gli abitanti della terra.Con i loro disegni ci ricordano che mentre una parte di noi, con la colomba della pace, vuole indicare la nostra speranza per costruire un mondo ideale, più armonioso, più degno, più giusto, altri preferiscono le devastazioni e il caos della guerra pur di mantenere i loro ingenti privilegi e il loro insaziabile desiderio di distruzione.Se la colomba della pace avesse la possibilità di esprimersi, senza dubbio direbbe: "No all'industria militare, non più guerre nel mio nome", così come molti di noi dicono:" No alla guerra, non più guerre nel nostro nome"


Dobbiamo ritrovare un equilibrio tra Nord e Sud del mondo, perché ciò che si sta consumando in Afghanistan non è semplicemente l’'anticamera di una guerra mondiale, ma di una crisi mondiale. E se non è nelle nostre possibilità cambiare tutto, impegniamoci almeno a formare una generazione che abbia sensibilità per questi temi, che comprenda che la lotta per la vita che ogni singolo compie è una lotta comune. E forse il sogno di un mondo interculturale è possibile, se comprendiamo che possiamo essere bianchi o neri, ma con una caratteristica comune: siamo tutti figli della terra, tutti frutto della sua armonia.
In Guatemala avete già qualche modello per il rispetto della multiculturalità?
“Sono stati firmati 12 accordi di pace e ogni accordo di pace è una piattaforma per costruire un Paese democratico. C’è un accordo di pace sull’identità e sui diritti dei popoli indigeni che ci dà l’opportunità non solo per fare le riforme educative ma anche riforme costituzionali per i prossimi venti, trent’anni”.
Qual è il suo sogno?
Io ho molti sogni e molti sogni lascio nei diversi posti dove sono stata. I sogni che devo conservare li conservo dentro ad un piccolo baule. Non si può aprire, perché altrimenti i sogni scappano. Non si possono dire i sogni.

Per chi volesse saperne di più, può leggersi "Me llamo Rigoberta Menchú y así me nació la conciencia (mi chiamo Rigoberta Menchú e così nacque la mia coscienza)" oppure cliccare qui sotto...