Caporal Economia

Stamattina, tra i tanti spunti e le tante cose che leggo per tenere aggiornato il mio blog (ed anche per sapere quel che succede in questo pazzo pazzo mondo...) mi colpisce una notizia di cronaca comparsa tra i miei aggiornamenti di facebook.
Secondo l'etichettatura classica delle notizie questa la si pubblicherebbe in una prima pagina di un quotidiano locale – precisamente quelle di Afragola, a nord di Napoli – o in una “locale” delle testate nazionali.

In pratica la notizia riporta il ferimento di un ragazzo burkinabé – che per chi non lo sapesse è il nome degli abitanti del Burkina Faso – o meglio, una vera e propria gambizzazione come si sarebbe detto ai tempi delle Brigate Rosse in quanto questo ragazzo, 21enne di cui purtroppo non è pubblicato il nome, è considerato il leader dei lavoratori stagionali.
Ed è proprio questo che mi ha dato lo spunto per parlare di uno di quegli argomenti che difficilmente si trovano sulle prime pagine, perché è uno di quegli argomenti “sporchi” di cui solo pochi giornalisti – vedasi l'immenso Fabrizio Gatti – si occupano. Ma procediamo per gradi.

Per usare il termine edulcorato dovremmo definirla “manodopera stagionale”. In realtà si parla di schiavismo. Di nuovo schiavismo che passa sotto il nome di caporalato.
Puglia, Basilicata, Campania, Sicilia. E' qui, in questo quadrilatero della povertà che giovani uomini e donne – per lo più tra i 16 ed i 34 anni – si spaccano la schiena per fare almeno la fame. E non è certo un modo di dire. Solo nelle campagne pugliesi sono circa 40.000, di cui il 25% immigrati ed il resto donne. Provengono un po' da tutto quel mondo “non ricco” di cui ci ricordiamo solo in occasione di G8 e cose simili. Vengono dall'Europa dell'Est – Romania e Bulgaria in particolare – ma soprattutto dall'Africa. Nigeriani, nigerini, burkinabé (gli abitanti del Burkina Faso), senegalesi e via discorrendo, tutti qui, fianco a fianco a raccogliere pomodori che poi non assaggeranno, a costruire case in cui non abiteranno. Solo per permettere a noi “pochi fortunati” la casa al mare o il macchinone. Saremo anche contrari ad un paese multiculturale, ma quando si tratta di sfruttamento non facciamo davvero distinzione di sesso, razza o religione.

Non solo questi uomini e donne devono subire un viaggio della speranza che dal loro paese, spesso in guerra, spesso povero li porta in quello che loro considerano come il paradiso terrestre, ma quando ci arrivano si accorgono di aver sbagliato strada. Di essere arrivati nell'inferno in Terra. “La fortuna è un fatto di geografia” direbbe la BandaBardò.
Non hanno paga, hanno per giaciglio un tugurio dove nemmeno i cani randagi hanno il coraggio di andare, mentre chi li frusta, chi li picchia ed uccide per poi gettarne il corpo nelle campagne, chi li violenta si arricchisce, spesso intoccabile raìs della zona, colluso con la mafia. Se non appartenente ad associazioni mafiose egli stesso.
Questi figuri, novelli carcerieri, sono i caporali. Molto spesso italiani e “capobastone” locali, sgrammaticati personaggi che rispondono all'unica legge della violenza e del terrore. Infischiandosene altamente dei diritti dei lavoratori e delle convenzioni nazionali e internazionali.

Non si può però relegare il fenomeno a mero accadimento meridionale. Esistono molti casi in cui questa usanza è presente anche ove maggiormente dovrebbe essere tutelata la legalità ed i controlli dovrebbero farsi più assidui. Le grandi opere, dove la ditta che vince l'appalto, nella maggior parte dei casi, di suo ci mette solo il nome, lasciando il lavoro – sia quello pulito che quello sporco – a ditte e personaggi dalla discutibile attività e condotta personale.

Com'è facilmente immaginabile non esistono tutele per queste povere anime in pena. Non esistono rappresentanze sindacali che possono tutelarli, perché spesso anche loro sono state minacciate. Non esistono politici che si battono per i loro diritti, perché è un fenomeno in cui ci si rompe troppo le palle. Esistono solo pochi, irriducibili, giornalisti come Fabrizio Gatti, che si spacca la schiena insieme a loro; che sale sui camion e sui barconi che dal deserto ed attraverso il mare portano gli invisibili alla ricerca di un futuro migliore.

Può una vera impresa arricchirsi spaccando la schiena agli invisibili? Buttando poi tra i campi, come fertilizzante, i corpi di chi cade stremato e brutalizzato? Può l'autorità morale della Chiesa tollerare tutto questo? Può la politica non considerare tutto questo un'emergenza? Possono i giornalisti non interrogarsi sull'urgenza di tenere i riflettori del servizio pubblico accesi e puntati sulle storie narrate da Fabrizio Gatti? Possiamo noi cittadini far finta di nulla?
Perché in questo paese si va sempre ed incondizionatamente a colpire gli ultimi, a colpire coloro che non possono permettersi spese legali, spese mediche per qualcosa che è un loro sacrosanto diritto, cioè il diritto al futuro?
Perché non si toccano mai i "mandanti", quelli che hanno il bastone di comando in mano?