I Bimbi dei tombini

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Il viaggio dei piccoli afghani non finisce mai. E' lungo sei o sette mesi, alle volte anche un anno intero. Li chiamano “bimbi dei tombini”, perché è lì che si rifugiano, di notte. Nei tombini. Così, come i sorci. Arrivano qui da Patrasso, Grecia. “Quasi Europa”, come dicono loro.

Habib, neanche 14 anni, da tre settimane tentava di sopravvivere in qualche antro di una stazione che sta a due passi dal Circo Massimo e dal Colosseo, il centro del centro della capitale d'Italia.Habib, venuto da un villaggio sperduto dell'Afghanistan dopo aver attraversato un pezzo di Asia ed un pezzo di Europa, approdato da solo a Roma con destinazione Oslo o Stoccolma. E come lui Khaled, morto a Forlì il 22 giugno 2008, o Zaeher, morto a Mestre il 10 dicembre dello scorso anno. Nomi che a noi non dicono nulla, nomi che però parlano di guerra, parlano di povertà. E parlano di mondo occidentale nuovamente girato dall'altra parte, a non guardare i danni che “l'esportazione della democrazia” fa in un paese come l'Afghanistan. "Non avevo niente da mangiare, ho raccattato rifiuti nei bidoni della spazzatura." racconta: "Sono andato via dal mio Paese da solo, mia madre è stata uccisa, decapitata. Mio padre è rimasto con le mie sorelle." dice Habib a Repubblica. Gli operatori di Save the Children dicono che questo fenomeno nel nostro paese è in aumento. Erano 32 nel 2004, due anni fa erano già 262.Tutti minori, bimbi o adolescenti di al massimo 16 anni.Arrivano qui appesi ai semi assi dei rimorchi, legati con le cinghie fra le ruote degli autotreni, in bilico per un giorno e una notte sotto i Tir. Qualcuno si addormenta e muore schiacciato. Come Khaled e Zaeher.

Quelli che ce la fanno, invece, finiscono nei cunicoli dell'Ostiense come Habib. Entrano in Italia come fantasmi, e come fantasmi rimangono sul nostro territorio in cerca di un passaggio per un futuro migliore. Per un futuro da “rifugiati”.«Dov'è la strada per la Svezia?», ha chiesto un dodicenne al poliziotto che l´aveva fermato al porto di Ancona. Quel bambino era stato tre mesi «al campo» di Patrasso (una città di baracche di cartapesta in fondo alla strada per Corinto ). Si era sistemato in una baracca ricoperta di plastica per proteggerla dalla pioggia, l'unico giaciglio che era riuscito a trovarsi grazie all'aiuto di Khalid, il capo dei capi di questa Kabul greca che risponde al nome di Patrasso. Perché anche in un contesto del genere, anche in un contesto di povertà disumana ed infame, ci sono “gradi” da rispettare. Ed i “bimbi dei tombini” come Habib, come Khaled e come Zaeher, purtroppo, sono gli ultimi della lista.