Malalai Joya. La voce democratica dell'Afghanistan


"Il mio nome è Malalai Joya della provincia di Farah. Con il permesso degli stimati presenti, in nome di Dio e dei martiri caduti sul sentiero della libertà, vorrei parlare un paio di minuti. Ho una critica da fare ai miei compatrioti, ovvero chiedere loro perché permettono che la legittimità e la legalità di questa Loya Jirga [il "gran consiglio" afgano, ndr] vengano messe in questione dalla presenza dei felloni che hanno ridotto il nostro paese in questo stato. [...] Essi sono coloro che hanno trasformato il nostro Paese nel fulcro di guerre nazionali ed internazionali. Nella nostra società sono le persone più contrarie alle donne, e quello che volevano...(clamori, si interrompe). Sono coloro che hanno portato il nostro paese a questo punto, e intendono continulare nella loro azione. Credo sia un errore dare un'altra possibilità a coloro che hanno già dato tale prova di sé. Dovrebbero essere portati davanti a tribunali nazionali ed internazionali. Se pure potrà perdonarli il nostro popolo, il nostro popolo afgano dai piedi scalzi, la nostra storia non li perdonerà mai. "

Karzai è un fantoccio. Le forze internazionali dovrebbero aiutarci davvero a riportare democrazia e giustizia. Non dovrebbero occuparci. Troppi soldi dati ai signori della guerra e pochi alla ricostruzione. L'invasione ha gettato il paese dalla padella alla brace.
Non ha certo timori reverenziali questa giovane donna afghana, nata nel 1978 da una famiglia povera trasferitasi in Pakistan dove, nel campo profughi di Quetta "mi resi conto delle sofferenze che la mia gente era costretta a vivere. Non capivo perché. Così iniziai ad assistere i malati, soprattutto le donne, nell'ospedale da campo." Dice in un intervista al sito PeaceReporter. Nel 1998 torna in Afghanistan, precisamente ad Herat, dove entra nell'Ong Opawc (Organization of Promoting Afghan Women's Capabilitie) che si occupa di assistenza a donne indigenti e promozione della coscienza dei diritti e del ruolo sociale delle donne afghane. Nel 2003 viene eletta all'assemblea delle tribù che doveva stilare la carta costituzionale del paese, denunciando da subito i misfatti dei "signori della guerra" [il video che trovate in apertura di post o qui per i lettori di Facebook http://www.youtube.com/watch?v=iLC1KBrwbck ] cosa che le costa la richiesta di espulsione dal parlamento per "impertinenza" nei confronti dei "signori della Jihad". Le venne altresì imposto di chiedere scusa per le sue parole. Ma Malalai non lo fece, e da quel giorno la sua vita è scandita dalle minacce di morte.

Costretta a cambiare casa in continuazione [alcuni dati dichiarano 15 giorni, altri 2 mesi] questa coraggiosissima assistente sociale dal corpo esile e dal volto da ragazzina non ha avuto un minimo di esitazione nella scelta se sprofondare nell'anonimato (e quindi salvarsi la vita) oppure continuare le sue battaglie (a proprio rischio e pericolo). La scelta evidentemente è stata oltre che coraggiosa anche premiata dal popolo afghano, dalla sua gente se è vero che con 7.813 voti "(in un paese dove si vota per fedeltà di clan, io ho raccolto consensi in diversi gruppi" sostiene in un'altra intervista concessa a Repubblica) ha potuto rappresentare Farah, la sua provincia, tra i 249 parlamentari afghani [alla Wolesi Jirga, la Camera dei Deputati afghana].
Dico ha potuto perché il 21 maggio 2007, con un atto del tutto illegale, Malalai è stata espulsa dal parlamento per aver criticato il governo esponendone la natura antidemocratica e fondamentalista e denunciando la presenza in esso dei "signori della guerra", trafficanti di droga e violatori dei diritti umani.
Ufficialmente questa espulsione le proviene da questa affermazione: "una stalla o uno zoo sono meglio (del Parlamento)" In realtà l'estromissione dall'istituzione parlamentare deriva dalla posizione contraria che Malalai ha assunto di fronte all'amnistia che, in nome della pacificazione nazionale, condona i crimini dei signori della guerra dal 1979 ad oggi.

Nella stessa intervista a PeaceReporter dice ancora: "Capii che la mia missione era far sentire la voce del mio sofferente popolo contro quei criminali che in nome dell'Islam hanno distrutto le nostre case, ucciso la nostra gente, calpestato i nostri diritti e rovinato le nostre vite, e che continuano a farlo in nome della democrazia e con il sostegno dei governanti americani ed europei, che hanno sostituito un regime criminale [quello dei Taliban, ndr] per sostituirlo con un altro regime criminale".

Francamente fino a ieri sera - finché non ne ho visto una brevissima intervista a Presa Diretta, il programma di Riccardo Iacona - non avevo mai sentito parlare di Malalai Joya. Ma ieri sera in quel video, qualcosa mi ha rapito. Letteralmente. Non so se sia stata la sua determinazione, le sue parole od il suo sguardo. Ma so che ci sono delle storie - delle persone - che non possono rimanere sotto silenzio. In particolare se quel silenzio può rivelarsi per loro fatale.